domenica 20 maggio 2007

Il fiume Tartaro tra Nogara e Gazzo veronese



Ricordo di aver sgranato gli occhi, colmo di sorpresa e di curiosità, quando lo vidi dentro la bacheca: “Ma che razza di pesci pescavano con un amo così?” Sembrava roba da pesca d’altura, un amo enorme di quelli che adesso si usano per la pesca dei siluri da record, con la differenza che risaliva a circa 1000 anni prima di Cristo!!! Il reperto si trovava, e credo che si trovi tuttora, nel museo archeologico di Gazzo Veronese, un comune dal territorio molto vasto, a vocazione agricola, che abbraccia l’ultimo lembo delle “valli grandi veronesi”, una zona che, fino alle bonifiche della prima metà del ‘900, era contraddistinta da paludi che si estendevano dal Tartaro all’Adige.
Il sottosuolo di questa zona è ricchissimo di reperti archeologici, alcuni dei quali risalgono all’epoca delle palafitte. L’amo in questione apparteneva quindi ad uno dei nostri antenati pescatori! É affascinante immaginare come si svolgesse la pesca a quei tempi, quali fossero le esche usate, i pesci insidiati, la “tecnica”. Probabilmente si trattava di un amo destinato a catturare grandi predatori come lucci e storioni, una sorta di pesca “con il vivo” ante litteram. Mi immagino il nostro antenato che infilava qualche scardolone sull’amo e poi lasciava cadere la lenza, costruita con filo ricavato chissà come da cortecce o pelli animali (certamente non trasparente), in attesa che qualche “lucciodrillo” la azzannasse e si facesse prendere. In fondo non è cambiato molto... almeno in teoria, perchè di pesce credo ce ne sia molto, ma molto meno.Il Tartaro però c’è ancora. L’hanno imbrigliato, deviato e per buona parte del suo corso verso l’Adriatico gli hanno pure cambiato nome, infatti, il più noto Canal Bianco, altro non è che il vecchio Tartaro, allargato e sistemato a dovere prima per fare da collettore ai corsi d’acqua che scendono dall’alta pianura, e recentemente per trasformarlo in un’idrovia adatta ai trasporti commerciali su chiatta. Il “mio” Tartaro però, quello che posso raggiungere in pochi minuti a piedi da casa mia, c’è ancora. Ed è anche in discreta salute.
Il fiume nasce da una serie di risorgive tra Povegliano e Villafranca di Verona, per poi attraversare tutta la pianura veronese, finchè, dopo aver ricevuto le acque del Tione (altro bel fiume che meriterebbe attenzione), sfocia nel Canal Bianco. Il tratto che andrò a descrivere si trova tra Nogara e Gazzo V.se, è lungo circa 4 km ed è chiamato “Tartaro vecchio”, in contrapposizione al canale che gli scorre parallelo, a poche decine di metri, chiamato “Tartaro nuovo”, un corso d’acqua che nasce da una chiusa all’altezza di Nogara e si ricongiunge con l’alveo naturale davanti alla bellissima chiesa romanica di Santa Maria Maggiore, a Gazzo Veronese.

Il “Tartaro vecchio” è chiuso da un altro sbarramento poco a monte di Gazzo. Questa sistemazione, creata dal consorzio di competenza a fine anni ’80, permette al fiume di avere sempre un livello accettabile e, cosa ancora più evidente, impedisce la risalita dei pesci dal tratto terminale e dal “Tartaro nuovo”, direttamente collegati con il Canal Bianco. Questo vuol dire innanzitutto pochi siluri, nessuna brema, nessun gardon (almeno per ora) e la possibilità di trovare ancora pesci autoctoni che in altri corsi d’acqua stanno sparendo, come la tinca, il triotto, il luccio e il persico reale. Uno dei fattori negativi dovuto alle briglie è però il rallentamento della corrente che, anche a causa dello scarico del depuratore di Nogara, ha causato una certa eutrofizzazione del fiume che in estate si trova a dover fare i conti con una notevole fioritura di alghe.Per quanto riguarda i pesci, una menzione particolare va senz’altro al luccio, che nel Tartaro trova ancora un habitat ideale per riprodursi (parte della sponda sinistra è caratterizzata da una palude con acqua bassa e fittissimi canneti). Frequenti gli esemplari fino al chilo di peso, insidiabili con i classici artificiali da esocide (cucchiaini, soprattutto rotanti, e minnow di 7-9 cm), un po’ meno accessibili quelli dal mezzo metro in su, non perchè non ci siano, ma perchè sanno leggere e scrivere... la loro cattura sovente è legata alla pesca con il vivo, nelle fredde e nebbiose giornate invernali. L’altro predone per eccellenza è il persico reale, presente in branchi cospicui che, però, sono difficilmente localizzabili, in quanto si spostano frequentemente lungo l’asse del fiume.
Il black bass non ha mai attecchito troppo in Tartaro ed attualmente la sua cattura è del tutto sporadica, mentre da più parti viene segnalata la presenza del lucioperca che, probabilmente, è destinato ad aumentare di numero in poco tempo. Raro il siluro, presente con esemplari medio-piccoli che si pescano perlopiù di notte. Praticamente scomparse le anguille che, fino alla metà degli anni ’90 si potevano definire abbondanti, mentre il pescegatto sopravvive ancora con qualche colonia stanziale in piccoli fossati che prendono acqua dal fiume.
Diminuita parecchio, ma sempre presente con discrete possibilità di cattura, la tinca, uno dei pesci che hanno caratterizzato le pescate della mia infanzia (erano i primi anni ’80 e ce n’erano davvero tante), abbondantissimi gli altri ciprinidi autoctoni: scardole, triotti e alborelle. Qualche anno fa c’era stata una vera invasione di carassi che però, negli ultimi tempi, sembrano in sensibile rarefazione. Per quanto riguarda le carpe, sono tra le principali prede dei pescatori locali che le insidiano nelle prime ore del giorno o al tramonto in postazioni dove pasturano giornalmente praticamente tutto l’anno. Tuttavia, le catture non sono molte, anche se talvolta si tratta di esemplari di svariati chili di peso. Fino a qualche anno fa andava meglio in quanto il Tartaro vecchio è stato zona FIPSAS praticamente per tutti gli anni ’90, il che significava semine periodiche, sorveglianza specifica e divieto di pesca con la bilancia. Purtroppo, di punto in bianco, qualche anno fa, la FIPSAS di Verona ha “mollato” il fiume per trasferirsi nel canale, cioè nel Tartaro nuovo, più comodo per organizzare gare, vista la migliore accessibilità e l’uniformità del corso. Appena si è sparsa la notizia, in poco più di un mese, grazie alla sapiente opera di decine di pescatori armati di bilancia, provenienti anche dalle province di Mantova, Modena, Reggio Emilia, Rovigo e Ferrara, sono stati catturati quintali di carpe, tinche, lucci e persici...
Ad ogni modo, come dicevo prima, il Tartaro c’è ancora, ed è ancora in grado di regalare qualche bella giornata di pesca. Questa estate l’ho frequentato quasi giornalmente, nei mesi più caldi. Uscivo dall’ufficio verso le 18,00, piombavo a casa, pigliavo la vespa e via. Ho provato parecchie tecniche con risultati sempre incoraggianti: persici e qualche lucciotto (rimesso in acqua con tante scuse) a spinning, e tanto pesce bianco a passata e a fondo, con vermi e mais.
Tutto il tratto in questione ha larghezza e profondità molto variabili, derivate dalla conformazione a meandri, diciamo che in media si pesca su un fondale di un metro e mezzo, ma in certe buche si superano i 3 metri, mentre l’ampiezza va da 7-8 fino a 15 e più metri. La corrente è sempre abbastanza lenta, talvolta quasi assente, e l’erba è presente un po’ ovunque, di solito si riesce a pescare bene al centro, dove si può impostare una buona passata lenta. Le pescate più belle le ho fatte a fine agosto. Bolognese da 6 metri, filo dello 0,16 in bobina, galleggiante da 2 grammi, amo del 16 su finale dello 0,12. Come pastura semplicemente un po’ di mais che poi ho usato come esca per insidiare in particolare le scardole, presenti ovunque nel fiume, con esemplari che sfiorano anche il chilo, sovente si riescono a vedere mentre pinneggiano sulla riva opposta. Consiglio di pescarle con il mais per selezionare un po’ la taglia, con la lenza vicina al fondo. Pasturando con qualche manciata di mais, infatti, il branco tende a scendere ed è più facile prenderne con una certa continuità rispetto alla pesca a galla o a mezz’acqua. Se peschiamo con il verme invece, bisogna fare in modo di far scendere la lenza in fretta, per evitare le alborelle. Il verme è particolarmente gradito ai branchi di triotti che si muovono lentamente sul fondo, anche in questo caso, senza pasturare, si possono fare catture su catture, non si tratta di pesci di taglia ma è una pesca, a mio modo di vedere, molto divertente.
Rispetto al mais, il verme amplia il ventaglio delle possibile catture, non è raro infatti allamare persici, carassi, e com’è successo al sottoscritto, di trovarsi a lottare con un paio di belle tinche e una carpa regina sul chilo e mezzo che mi hanno fatto dannare parecchio prima di finire a guadino. A fondo, almeno nella bella stagione, non è indispensabile il feeder, è sufficiente un’olivetta scorrevole da 10-15 grammi con un finale dello 0,16 lungo almeno 50–60 cm, amo a gambo corto e curva larga del 10. Se si innesca il mais le prede saranno soprattutto grosse scardole, con l’incognita carassio o carpa, con il verme, fintanto che rimane vivace può capitare il persico, oppure si tratta delle solite scardole, carassi con qualche possibilità di sedurre tinche e carpe.
Niente in confronto a quello che riuscivano a prendere i nostri antenati delle palafitte, ma pur sempre qualcosa rispetto a tanti altri corsi d’acqua minori che sembrano ormai compromessi per sempre. E poi, pesce o non pesce, invito tutti a farsi qualche ora sulla riva del “mio” Tartaro per gustarsi la quiete e rigenerarsi lo spirito... con me funziona sempre!
NOTE INFORMATIVEPer pescare nel Tartaro vecchio è sufficiente la licenza governativa.Nogara è un’importante cittadina del basso veronese che si trova all’incrocio tra le statali Padana Inferiore e Abetone Brennero. Si raggiunge velocemente da Verona (30 km) e da Mantova (22 km). Arrivati in centro al paese, da piazza Umberto I° si prende Via Falcone e Borsellino (passando davanti al Municipio) che poi diventa Via Torrazzo, la si percorre tutta fin quando, sulla destra, vedremo l’argine del fiume al quale si può accedere con l’auto percorrendo una stradina sterrata che costeggia una pista ciclabile. Una volta parcheggiato si deve procedere a piedi, attraversando il ponte di legno. Un altro accesso, che porta ad un tratto meno frequentato (quello che prediligo), si ha percorrendo la provinciale che collega Gazzo V.se con il comune mantovano di Villimpenta (siamo comunque a pochi chilometri da Nogara): appena fuori dall’abitato di Gazzo si incontra il Tartaro Nuovo, si prende la sterrata che lo costeggia in riva sinistra e si prosegue per un paio di chilometri finchè non si trova sulla destra un’altra stradina, contigua ad un pioppeto, che porta all’argine pensile del fiume vecchio. Ovviamente, questo accesso è consigliabile solo se non ci sono state recenti precipitazioni. La zona è ricca di ristoranti e trattorie che propongono i tradizionali risotti, oltre a tanti altri piatti delle tradizioni veronese e mantovana. A Gazzo meritano una visita le chiese di Santa Maria Maggiore e San Pietro in Monastero detto “el ceson”, oltre naturalmente al museo archeologico. Di particolare importanza l’Oasi del Busatello, gestita dalla LIPU, l’ultimo lembo rimasto incontaminato delle valli grandi veronesi, dove si possono ammirare la fauna e la flora tipiche delle zone umide padane.

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